“Fin dai primi social forum, l’Arci ha cercato di analizzare gli effetti del neoliberismo e della finanziarizzazione dell’economia. Abbiamo chiesto un radicale cambiamento delle politiche economiche, la riforma della politica, abbiamo lanciato l’allarme sulla crisi della partecipazione, la desertificazione delle relazioni sociali, le trasformazioni del welfare, sulla situazione della scuola, della ricerca, sulle condizioni degli anziani, sugli errori in materia di immigrazione, sul restringersi dei diritti di cittadinanza… Tutti temi su cui abbiamo provato a fare politica, a indicare nuove risposte, a creare nuove alleanze, senza però trovare il necessario ascolto, e non solo da parte della politica.”
di Emanuele Patti, Ufficio di Presidenza Arci
Già abbiamo avuto modo di scrivere della povertà in aumento, del rischio per la coesione sociale, del fatto che in molti pagano questa crisi mentre pochissimi continuano ad arricchirsi, e soprattutto che tanti sono i nuovi poveri, il che dovrebbe indurre a una seria riflessione sulle ricadute sociali e politiche di questo fenomeno.
É evidente quindi che non possiamo, all’indomani delle proteste attribuite un po’ troppo frettolosamente ai ‘forconi’, non interrogarci su quanto sta avvenendo.
Si é detto e scritto tanto, spesso in modo confuso, ma alcuni punti possiamo darli per acquisiti.
Intanto sulla composizione di questo movimento. L’analisi che ne fa Aldo Bonomi mi pare ampiamente condivisa. Bonomi descrive i partecipanti alle proteste come provenienti da quel «capitalismo molecolare, composto per lo più dal piccolo commercio diffuso (negozianti, ambulanti), dai ‘padroncini’, muniti di partita Iva, dai camionisti e piccoli imprenditori. Una moltitudine rancorosa appartenente a un modello economico che sta sparendo, piccola borghesia pesantemente stressata dal fisco e impoverita dalla crisi che come sociologo non intercetto alle porte dei sindacati o delle associazioni di categoria, bensì alla mensa della Caritas. Un luogo dove arrivano disoccupati e cassintegrati, ma anche appartenenti a quella composizione sociale che definirei ‘non più’: non più negozianti, non più commercianti, non più piccoli imprenditori».
Si fa dunque riferimento a categorie che storicamente la sinistra ha fatto fatica a intercettare, in particolare il mondo del commercio al dettaglio o ambulante, spesso lasciato alla rappresentanza delle varie destre, leghiste o fasciste, più spesso abbandonato al ‘miglior offerente’, senza capire che in questi anni la sua composizione sociale è profondamente mutata. Se questo è l’humus delle mobilitazioni, ora l’interrogativo riguarda la natura politica di questo movimento. Siamo di fronte a un movimento proto-fascista, per metodi e linguaggi? Oppure c’è chi sta tentando di cavalcarlo (dai neofascisti, ai pentastellati, a Berlusconi)? O non si sta invece semplificando per ‘comodità’ la lettura di un movimento complesso?
Io penso che questo dibattito rilevi innanzitutto la debolezza di una sinistra, di governo e non, che in questi anni ha faticato molto a ‘vedere e sentire’ il paese reale, tanto da lasciare ad altri il campo della lotta alle politiche di austerità che in passato sarebbe stato terreno della sua iniziativa, mentre oggi la parte maggioritaria della sinistra è promotrice di quelle politiche, prima in nome dello spread dilagante ed ora delle larghe intese di salvezza nazionale, ligia alle imposizioni della Troika. Quanti cittadini sono stati lasciati soli, senza risposte, in tutti questi anni, se c’é stato spazio per l’affermarsi prima del leghismo, poi del grillismo e ora, forse, del ‘forconismo’?
Davvero qualcuno pensava che i costi sociali delle politiche di austerità e della crisi non sarebbero emersi anche in termini di protesta e disagio? Può bastare concentrarsi sulla sfida interna alle forze politiche senza dare risposte a bisogni reali?
Fin dai primi social forum, l’Arci ha cercato di analizzare gli effetti del neoliberismo e della finanziarizzazione dell’economia. Abbiamo chiesto un radicale cambiamento delle politiche economiche, la riforma della politica, abbiamo lanciato l’allarme sulla crisi della partecipazione, la desertificazione delle relazioni sociali, le trasformazioni del welfare, sulla situazione della scuola, della ricerca, sulle condizioni degli anziani, sugli errori in materia di immigrazione, sul restringersi dei diritti di cittadinanza… Tutti temi su cui abbiamo provato a fare politica, a indicare nuove risposte, a creare nuove alleanze, senza però trovare il necessario ascolto, e non solo da parte della politica. Sono convinto che l’Associazione, in vista del Congresso, debba cimentarsi soprattutto su questi temi.
Anche perché gli attori di queste proteste spesso li incontriamo nei nostri circoli, ne intercettiamo i bisogni, raramente siamo in grado, anche noi, di offrire risposte efficaci.
Fatte le giuste autocritiche, dobbiamo però non rinunciare all’analisi. Sulla natura del movimento che si sta palesando in questi giorni, condivido per esempio anche la riflessione di Lee Marshall che, interrogandosi sulla natura fascista o meno dei ‘forconi’, si dice convinto del carattere corporativo della protesta in un paese dove invece c’è un gran bisogno di coesione sociale. Ne contesta alcuni metodi, come la ricerca della ‘solidarietà forzata’, costringendo alla chiusura i negozi.
E siccome l’Italia é quello strano Paese in cui la vicinanza tra pezzi deviati dello Stato e terrorismo nazionalista e di destra – piazza Fontana sta lì a ricordarcelo – è realtà e non fantapolitica, dobbiamo comunque tenere gli occhi aperti, sapendo che la via maestra resta la nostra Costituzione e la sua piena attuazione.
ArciReport, 17 dicembre 2013
Comments are closed.