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Congresso Arci 2014_ IL BICCHIERE MEZZO PIENO

admin marzo 16, 2014 congresso2014

Si è concluso domenica 16 marzo 2014 Congresso dell’Arci con la nomina a termine di un comitato di reggenti
La partecipazione è stata molto alta: hanno seguito i lavori 579 delegati/e su 592, pari al 98%.
Quattro giornate di intensi lavori, caratterizzati dalla presenza di molti ospiti esterni, in rappresentanza delle istituzioni, dei partiti, delle associazioni e delle organizzazioni sindacali.  Gli interventi dei delegati e delle delegate sono stati più di cento, rappresentanti di circoli, di comitati territoriali e regionali provenienti da tutte le parti di Italia. Per quattro giorni si è discusso di come rendere il sistema associativo Arci adeguato al grave momento che attraversano l’Italia e l’Europa, delle innovazioni necessarie per attrezzarci a svolgere il nostro ruolo in modo sempre più efficace in un’ epoca segnata dalla più grave e lunga crisi del dopoguerra. Tanti gli spunti e le proposte emerse, tante le esperienze raccontate. La platea congressuale ha ritenuto opportuno non procedere subito alla elezione dei nuovi organismi dirigenti e del presidente.Si è scelto di riconvocare l’assemblea entro il 30 giugno per adempiere a questi obblighi, mentre l’associazione sarà retta sino ad allora da un comitato di reggenti composto dal presidente nazionale uscente Paolo Beni e dai presidenti dei comitati regionali.

Sul sito www.arci.it gli ordini del giorno approvati dal Congresso.

Il bicchiere mezzo pieno

Il congresso di Bologna non sarà un’occasione persa e può ancora dare buoni frutti. Se sapremo ripensare le ragioni della nostra unità

di Paolo Beni

La notizia ha destato sorpresa e qualche maliziosa ironia: il Congresso dell’Arci si è chiuso con un nulla di fatto. O meglio, non si è chiuso. Per evitare una traumatica frattura fra i delegati si è deciso di sospendere i lavori senza eleggere gli organismi dirigenti, incaricando un comitato di reggenti di riconvocare l’assemblea congressuale entro tre mesi.

Sarà difficile spiegare a chi ci osserva dall’esterno che nonostante il suo epilogo quello di Bologna è stato invece un bel congresso: per la grande partecipazione dei delegati, il qualificato parterre di ospiti, la qualità di un dibattito intelligente, appassionato, unitario. Quasi cento delegati intervenuti in rappresentanza di esperienze diffuse in ogni angolo del paese sono lo specchio di un’Arci in crescita, che sta cambiando e ragiona su come sostenere e accompagnare questo cambiamento. Certo, fra i delegati si è respirato anche il disagio delle tensioni, la paura di divisioni, si è levata una accorata richiesta di unità. Siamo un’associazione che discute, e questo non può essere un difetto. Anche litigare in famiglia a volte è salutare, se poi ci si capisce e si risolvono i problemi.

È quando in famiglia nemmeno ci si parla che alla fine prima o poi ci si lascia. Abbiamo fatto un dibattito vero, che non va drammatizzato e non andrebbe nemmeno strumentalizzato. Dispiace che la stampa non abbia trovato altro da dire se non appassionarsi alla contesa fra i due candidati, piegandola oltretutto a consunti cliches nei quali non ci riconosciamo neppure.

Ma non possiamo negare la contraddizione che tutti abbiamo notato fra la grande unità di intenti emersa dal dibattito politico, il consenso sui temi posti dal documento congressuale, i sessanta ordini del giorno approvati alla unanimità, e i problemi insormontabili che hanno bloccato la commissione elettorale fino a indurre il congresso a non eleggere gli organismi.

Se condividiamo l’analisi politica, la lettura del contesto e del ruolo che vogliamo svolgere, se sulle cose da fare non ci sono grandi differenze, perché non dovremmo metterci d’accordo su come organizzarci per realizzarle? Lotte di potere nel gruppo dirigente, dirà qualcuno. Io penso che sia una semplificazione ingenerosa, perché al centro del conflitto c’è invece anche un tema molto più nobile: come si esercita la rappresentanza nell’Arci, come si concilia il criterio della proporzionalità degli iscritti con l’esigenza di rappresentare tutta la pluralità delle esperienze territoriali, come innovare gli strumenti di partecipazione e di governo democratico della rete.

Questioni importanti, che investono molti aspetti del funzionamento dell’Arci e non solo i criteri con cui si compone il consiglio nazionale; che esigono il coinvolgimento di tutta l’associazione in una riflessione collettiva e unitaria che sarebbe stato meglio non sacrificare alla pur legittima competizione fra i candidati alla presidenza. L’oggetto del contendere è il nostro modello di democrazia associativa, e non c’entra niente con ipotetici conflitti fra moderati e radicali o fra circolisti e movimentisti, che non hanno ragion d’essere e ci porterebbero indietro di vent’anni.

Così come è insensato contrapporre esperienze territoriali forti e deboli.

L’associazione è impresa collettiva, comunità, non è un impero e non ha periferie dell’impero, non ammette feudi o feudatari. Ma se vuole essere una comunità utile a questo paese frammentato e complicato deve dare a tutte le sue realtà territoriali la stessa dignità e possibilità di concorrere alle scelte.

Guai a contrapporre tradizione e nuove possibilità di sviluppo, il valore delle radici e la capacità di guardare al futuro.

Guai a dimenticare che tutti siamo parziali, e che ci mettiamo insieme proprio per questo. Non c’è una parte dell’associazione che possa fare a meno dell’altra. Ringrazio Filippo e Francesca per essersi messi in gioco con spirito di servizio, per la serietà e la passione con cui l’hanno fatto. E continuo ad auspicare che siano protagonisti insieme, ciascuno per le esperienze e sensibilità che è in grado di rappresentare, del governo unitario dell’Arci.

A Bologna dovevamo scegliere il presidente di tutti fra due nostri dirigenti, non quale salvare e quale buttare fra due modelli associativi che non sono alternativi ma necessari l’uno all’altro. Questa è la prima cosa da rimettere sui binari se vogliamo che da questo congresso travagliato escano comunque buoni frutti.

Abbiamo molte responsabilità. Ce l’hanno detto chiaro gli ospiti intervenuti al nostro congresso, associazioni, partiti, istituzioni locali, assegnandoci un ruolo guida nel terzo settore italiano. Non dobbiamo sottovalutare il credito che abbiamo acquisito in questi anni e le aspettative che ci sono nei nostri confronti. L’Arci non è proprietà di questo o quel territorio, nemmeno di tutti noi. È un patrimonio del paese, della cultura e della società italiana, della sinistra, che non possiamo disperdere. Ma sono convinto che non succederà perché l’associazione ha gli anticorpi necessari per evitarlo.

Se intanto c’è la consapevolezza del problema siamo già un passo avanti e possiamo dire che il bicchiere è mezzo pieno.

 Arcireport numero 9_2014

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