Nel 2012 l’allora governo Monti e l’ampia maggioranza che lo sorreggeva introdusse nella nostra Costituzione, attraverso la modifica in particolare dell’articolo 81, il principio di pareggio di bilancio, ovvero l’impossibilità per lo Stato di spendere più di quanto ha incassato con le entrate fiscali nel corso dell’anno, salvo limitatissime eccezioni. Lo fece con una maggioranza parlamentare amplissima, superiore ai due terzi, che rendeva impossibile la convocazione di un referendum. Malgrado questo, molti costituzionalisti ed economisti sostennero che era un errore. Il tempo ci sta dando ragione.
In primo luogo è sempre errato introdurre in Costituzione norme stringenti che attengono alle manovre economiche che un governo fa attraverso le leggi finanziarie. Infatti alla prima occasione lo stesso governo Renzi ha chiesto di fare scivolare l’entrata in vigore dell’obbligo al 2017.
In secondo luogo non è vero che ce lo chiedeva l’Europa. Infatti la Francia non l’ha fatto, lasciando la propria Costituzione inalterata.
In terzo luogo l’esperienza storica delle grandi crisi del passato, come quella degli anni Trenta, dimostrano che proprio quando le cose vanno male è necessario l’intervento diretto in economia dello stato, anche in deficit, per garantire quella ripresa che altrimenti non avverrebbe. Naturalmente bisogna che gli investimenti pubblici siano oculati e in settori innovativi. Solo in questo modo si può ottenere quell’allargamento di gettito fiscale – beninteso se si lotta contemporaneamente contro evasione ed elusione fiscali – che permette di riportare il bilancio in pareggio o addirittura in attivo.
In quarto luogo se si pone in Costituzione un limite di spesa invalicabile non si può fare fronte alle spese derivanti dall’assolvimento dei bisogni e dei diritti dei cittadini, a cominciare da quelli previsti nella prima parte della Costituzione e non si può garantire la ricerca della piena occupazione, il che è contradditorio con il primo articolo che dice che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro.
Tutti gli studi più seri, a cominciare da quelli dello stesso Fondo Monetario Internazionale, hanno rivelato che il moltiplicatore in termini di sviluppo economico dell’aumento della spesa sociale è ben superiore a quello della diminuzione delle tasse.
Sulla base di questi principi è stata organizzata la raccolta delle firme per una proposta di legge di revisione costituzionale, attivato il sito www.colpareggiociperdi.it e si sta procedendo alla costituzione di comitati locali in tutte le regioni.
Nel testo della proposta di legge popolare si ribadisce, anche sull’esempio delle migliori costituzioni vigenti, comprese quelle più recenti di paesi latinoamericani, che prima vengono i diritti delle persone, che sono di rango costituzionale, poi la contabilità dello Stato.
Prima le persone, quindi.
ArciReport, 14/11/2014
Con la prima raccolta di firme tenutasi a piazza del Pantheon a Roma il 15 ottobre, è partita ufficialmente la campagna Con il pareggio ci perdi a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare di revisione costituzionale per cancellare l’introduzione del principio di pareggio di bilancio nella nostra Costituzione, attraverso la modifica di alcuni articoli fra cui l’art.81.
Tra le prime firme anche Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, che quindi sosterrà l’iniziativa.
Il Parlamento assunse questa decisione nel 2012, sotto il governo Monti, raccogliendo una proposta del precedente governo Berlusconi. I fautori di tale modifica si appellarono alla volontà dell’Europa. Ma la Ue non ha mai imposto ai paesi membri di mettere in Costituzione il pareggio di bilancio, tanto è vero che altri paesi non lo hanno fatto.
In questo modo il nostro paese si è invece privato della possibilità di aumentare la spesa sociale, anche in deficit, per creare le condizioni di un incremento del Pil e di produrre una crescita secondo modelli ambientalmente e socialmente compatibili. E infatti le politiche di rigore e di austerità in atto in Italia e in Europa, basandosi sul taglio della spesa sociale, impoveriscono i paesi, riducono i diritti, aumentano la disoccupazione. È esattamente la fotografia attuale dell’Europa e dei paesi mediterranei in particolare, fra cui il nostro. Che l’obbligo di pareggio in Costituzione non stia in piedi, lo dimostra anche il fatto che lo stesso governo Renzi, alla sua prima applicazione, ha chiesto alla Ue di potere scivolare di un anno, per fare fronte alle urgenze della crisi economica.
Nella proposta di legge di iniziativa popolare non si propone solo di tornare al testo precedente alla modifica dell’art. 81, ma si vuole introdurre un principio fondamentale che è presente nelle più avanzate e recenti costituzioni, come quelle di alcuni paesi latinoamericani. Al vincolo contabile si sostituisce quello della soddisfazione dei bisogni e dei diritti dei cittadini. E quindi le manovre di bilancio non possono avere come conseguenza il taglio di spese sociali che ledono quei diritti.
In questo modo la proposta di legge, pur non potendo influire direttamente sul Fiscal compact, che è un trattato europeo, rafforza gli argomenti per contrastarlo, dal momento che la logica del rientro forzato dal debito nel giro di venti anni comporta necessariamente una diminuzione della spesa sociale, che è proprio quanto la proposta di legge vuole venga vietato costituzionalmente. Il primato delle leggi contabili verrebbe così sostituito dal primato dei diritti.
L’obiettivo minimo consiste nella raccolta di 50mila firme in sei mesi, ma il comitato promotore si propone obiettivi molto più ambiziosi.
Nei prossimi giorni verrà attivato il sito colpareggiociperdi.org dove verranno precisati tutti i dettagli della raccolta, inseriti materiali da scaricare, con risposte alle obiezioni più frequenti in modo da mettere in condizioni le organizzazioni locali di partecipare alla raccolta. I moduli verranno stampati centralmente per poi essere vidimati in loco.
Di seguito la composizione del comitato promotore, cui ne seguirà uno di sostegno composto da organizzazioni, associazioni e sindacati, per evidenziare l’ampio spettro di persone e forze sociali coinvolte nella iniziativa:
Stefano Rodotà (Presidente), don Vinicio Albanesi, Gaetano Azzariti, Giorgio Airaudo, Andrea Baranes, Leonardo Becchetti, Fausto Bertinotti, Alberto Campailla, Luciana Castellina, Francesca Chiavacci, Giorgio Cremaschi, Cecilia D’Elia, Monica Di Sisto, Vittorio Cogliati Dezza, Antonello Falomi, Roberta Fantozzi, Stefano Fassina, Luigi Ferrajoli, Nicola Fratoianni, Mauro Gallegati, Luciano Gallino, Alfonso Gianni, Patrizio Gonnella, Riccardo Laterza, Danilo Lampis, Maurizio Landini, Giulio Marcon, Grazia Naletto, Mario Pianta, Felice Roberto Pizzuti, Norma Rangeri, Marco Revelli, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Mario Sai, Riccardo Troisi, Francesco Vignarca, Alex Zanotelli, don Armando Zappolini.
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