Quando prevale la ragione di Stato
di Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci
La notizia dell’assoluzione di tutti gli imputati nel processo per la morte di Stefano Cucchi è una notizia che ci ha riempito di rabbia.
Quella morte, secondo la Repubblica Italiana, non ha colpevoli. Quella sentenza è, come ha dichiarato il legale della famiglia, il «fallimento della giustizia italiana».
Tante, troppe volte in questi anni lo Stato non ha protetto persone che erano nelle sue ‘mani’, ha lasciato poi che le responsabilità rimanessero impunite oppure non ha saputo reagire in modo chiaro e deciso ai tentativi messi in campo da rappresentanti e pezzi delle istituzioni per nascondere la verità.
Cucchi e Aldrovandi. Magherini, Uva, Ferrulli, Brunetti, Rasmann, Budroni… Lonzi.
È una lista (non esaustiva) lunghissima e impressionante. Talmente impressionante da rischiare di passare inosservata. Se ne parliamo e se oggi su questo tema si esprimono i Presidenti delle Camere, alcuni parlamentari, l’opinione pubblica, è merito ancora una volta della difficile e dolorosa battaglia delle famiglie delle vittime. Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Lucia Uva.
Donne coraggiose che trovano forza nel loro dolore per condurre una battaglia non solo in nome del loro fratello o figlio, ma per ottenere giustizia e verità per tutti e per tutte.
Questa sentenza che ha assolto tutti riporta alla mente una questione più profonda. Che riguarda la democrazia, ma soprattutto la concezione dello Stato. Una concezione ancora schiava di retaggi ottocenteschi, che rinnega qualsiasi connotato liberale. Lo Stato viene prima di tutto e su tutti. La Pubblica Amministrazione non sta tra i cittadini. Anziché essere al loro servizio e tutelare innanzitutto la loro incolumità, preferisce porsi al di sopra di essi e ridurli a sudditi, tanto da poter mettere la loro vita in secondo piano rispetto alle ragioni di opportunità, permettendosi di produrre mistificazioni, omertà, coperture, depistaggi, superficialità nelle indagini.
È uno ‘schema’, una impostazione che, purtroppo, la democrazia italiana ha dovuto subire tante volte. Dai fatti di Genova per il G8 fino ai giorni nostri con le cariche agli operai dell’Ast di Terni.
La legge può non essere uguale per tutti. E, alcune volte, sembra addirittura che debba non essere uguale per tutti. Perchè, come affermano Giovanardi o Tonelli, sembra che la colpa della morte di Stefano sia da attribuirsi al suo stile di vita.
All’Arci, alla nostra «sensibilità organizzata» (così ci ha definito Patrizia Moretti al nostro Congresso) spetta far sentire l’abbraccio e la forza della nostra comunità a Ilaria, alla famiglia di Stefano e a tutti gli altri familiari che chiedono verità e giustizia.
All’Arci spetta impiegare tutte le proprie energie per riaffermare che non esiste una ‘ragione di Stato’ in nome della quale si possano calpestare i diritti fondamentali e la dignità di un uomo o una donna.
Arcireport numero 36, 7 novembre 2014
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