La linea ferroviaria che passa a pochi metri da dove sto scrivendo questo editoriale, a Trento, è la stessa da cui lo stesso Primo Levi passò, insieme a migliaia di altri cittadini italiani, ebrei, omosessuali, nomadi, oppositori politici. Deportati in località a loro sconosciute e oggi tristemente note: Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Dachau. Verso la fine della guerra le truppe tedesche tentarono di distruggere i campi di sterminio e cancellare le prove delle atrocità commesse. Molti dei prigionieri furono trasferiti nelle cosiddette ‘Marce della Morte’. I superstiti, già esausti da mesi di privazioni e stenti, furono costretti a marciare per chilometri nella neve, senza acqua nè cibo. La maggior parte di loro morì così. A guerra già persa e fino all’ultimo atto il tragico disegno nazista continuò a protrarsi e mietere le sue vittime. Questo dettaglio rende bene l’idea della determinazione degli esecutori di quel disegno. Ma ancora di più a colpire dei campi di sterminio è la rigida logicità e razionalità con cui fu gestito questo processo di morte. La storia umana è infatti piena di guerra, come anche di stermini. La nostra cultura classica ha sempre rappresentato la guerra come sangue e fango, la pugna di latina memoria. I campi di concentramento sono altro: un asettico meccanismo di morte, pensato logicamente e industrialmente, volto a massimizzare l’orrore come fosse profitto.Il processo politico che ha portato alla formazione dell’Unione Europea è sembrato per molti anni come capace di chiudere questa ferita. L’unione dei popoli come mezzo per garantire l’irripetibilità di quegli orrori.
Oggi però con il ritorno di movimenti nazionalisti e xenofobi, l’Europa si ritrova quei fantasmi alle porte. Le immagini dell’attentato di Charlie Hebdo, che hanno colpito ognuno di noi, sono state un’occasione per chi costruisce il proprio consenso sulla paura. Il Front National di Marine Le Pen ha subito ‘sequestrato’ i corpi delle vittime usandoli come feticcio per una retorica violenta. Ironia della sorte, corpi di comunisti o anarchici (come i redattori del giornali), di ebrei (come le vittime del supermercato Kosher di Parigi) e di islamici (come Ahmed, il poliziotto parigino ucciso).
Per questo motivo questi settant’anni ci portano un ricordo più vicino che mai. Sono un monito attualissimo da diffondere nella cultura popolare. La frase scelta dall’Arci per questo 27 gennaio 2015 è ‘La memoria costruisce il futuro’. Un punto su cui la nostra associazione potrà costruire politiche culturali di pace, che servano come messaggio ai nostri giovani soci.
Arcireport numero 2, 22 gennaio 2015
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