di Francesca Chiavacci, Presidente nazionale Arci
Non sappiamo quanto durerà nè come si evolverà. Sta di fatto che sembra che finalmente l’Europa e le Nazioni Unite si siano accorte dei flussi inarrestabili, delle tante tragedie quotidiane e dei migliaia di morti nei TIR o in mare.
Se n’è accorto sia chi si dichiara disponibile a prendersi in carico, almeno parzialmente, un fenomeno epocale migratorio, sia chi erge muri, chiude le stazioni o si spinge a chiedere la sospensione di Schengen. Sul tavolo della discussione in questi giorni ci sono il diritto d’asilo europeo, l’idea che tutti i membri dell’Unione devono partecipare ai processi di accoglienza e integrazione, il superamento di Dublino. Tutti punti interessanti e condivisibili.
Ma la situazione appare comunque fragile, precaria. Alle aperture sull’impegno di paesi come la Germania, corrispondono chiusure a est e resta forte la pressione delle spinte xenofobe e razziste. Insomma fa capolino il meglio che potrebbe dare la civiltà e la tradizione del nostro continente, ma il peggio del suo passato è capace sempre di sovrastare tutto il resto.
Si tratta quindi di una cornice che può riempirsi di novità positive come frantumarsi da un momento all’altro e degenerare. A mancare ancora è una prospettiva di ampio respiro degna dei valori che ispirarono la fondazione dell’Europa unita. Perché è vero che si fa strada l’idea di affrontare l’emergenza e di migliorare l’accoglienza, ma non è in campo nessuna riflessione sulle ragioni che determinano questo movimento enorme di vite umane. Nessuna riflessione su cooperazione, democrazia, pace, lotta alle disuguaglianze e alla povertà, contrasto della barbarie su uomini, donne e patrimoni culturali, in un pianeta, come sottolineava qualche giorno fa Adriano Sofri, dove sono sempre in aumento (da anni mai in diminuzione) i paesi dove non è possibile tornare a causa di guerre e conflitti. Appaiono troppo flebili, per sfilacciamento, debolezza mediatica, cedimenti a destra, le voci di impronta progressista e critica del neoliberismo. Il socialismo europeo è in crisi e le tante sinistre in alcuni paesi sperano di poter governare e cambiare lo stato delle cose, in molti altri fanno i conti con il realismo, ma non si costruiscono processi di condivisione e aggregazione su piattaforme comuni. È in questo contesto che è immerso il nostro paese. Dove la sinistra è in grosso affanno. Dove spesso sembrano prevalere più le divisioni e i personalismi, piuttosto che la presentazione di risposte di solidarietà e di idee diverse di società.
Quale può essere il compito di un’associazione culturale di sinistra come l’Arci? Come fare a non smarrirsi, a non smarrire , ma anzi rilanciare il patrimonio di esperienze concrete, di idee che ci caratterizza?
Dobbiamo rafforzare la nostra visibilità’ e la nostra azione culturale, a cominciare dal tema dell’immigrazione, dando valore alla nostra positiva azione di accoglienza e promuovendo anche però un’azione politica antirazzista nei territori, in tutti i circoli, in ogni spazio che porta la bandiera dell’Arci.
Ma non solo questo: la ripresa delle attività del Parlamento sembra presentare un’agenda piena di provvedimenti che, se venissero approvati come sembra, non ci piacciono o ci piacciono poco: riforme istituzionali che svuotano il nostro sistema democratico, una legge sulle unioni civili che non parlerà di matrimonio egualitario, la previsione di una cittadinanza per i figli dei cittadini stranieri che non è quella che avevamo richiesto con le tante nostre iniziative de L’Italia sono anch’io, un riforma del terzo settore di cui ancora non riusciamo a capire l’esito. E un inizio dell’anno scolastico che vede insegnanti e studenti sul fronte della battaglia contro la riforma della Buona scuola. Ci aspetta tanto lavoro, quindi, per contribuire ai processi di ricostruzione di un pensiero e la diffusione di pratiche per l’eguaglianza e la solidarietà.
ArciReport numero 29, 3 settembre 2015
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