Friday 22nd November 2024,
Arci Lecco Sondrio

Alcune riflessioni verso il Congresso Nazionale

admin dicembre 17, 2013 campagne, congresso2014

Un comune impegno per il congresso nazionale
(di Walter Massa – Responsabile nazionale Organizzazione della rete nel territorio)

Un comune impegno per il congresso nazionaleDallo scorso week-end i congressi territoriali sono entrati nel vivo. Prosegue così il percorso che ci porterà all’assise nazionale, a Bologna, da sempre il momento più importante della nostra vita associativa. Grazie ad Arcireport ci è possibile seguire questo percorso, conoscendo territori spesso evocati nelle nostre discussioni e forse poco noti. Questa settimana, ad esempio, è la volta di Sassari e dell’Aquila, realtà molto differenti tra loro ma accomunate dall’appartenenza alla nostra associazione ed ai suoi valori. Un legame invisibile, a volte dato per scontato e, altrettante volte, derubricato ad un non meglio precisato problema d’identità. Quello di Bologna sarà un congresso nazionale davvero importante, per le scelte che siamo chiamati a fare ma anche per dare seguito al lavoro di cura e monitoraggio del territorio avviato in modo strutturato con il congresso di Chianciano del 2010. La successiva Conferenza Organizzativa di Tivoli, del novembre 2012, è stata, in quest’ottica, uno dei momenti più significativi dove hanno trovato sintesi e condivisione analisi, pensiero e proposte sulla cura del territorio e, più in generale sui temi dell’organizzazione della nostra associazione. Una Conferenza che ha saputo trasformare domande, dubbi e riflessioni in proposte concrete, a cominciare dal rafforzamento e dal riconoscimento della funzione politica ed organizzativa dei Comitati Regionali. Ne è prova la proposta sperimentale per i Comitati Regionali, contenuta nel Piano Nazionale per lo Sviluppo Associativo, documento che, nonostante alcuni limiti e notevoli margini di miglioramento, fa avanzare il piano delle proposte in questa direzione partendo proprio dall’analisi rilevata nel quadriennio 2010 – 2014. Questo è e rimane un punto dirimente, opportunamente ripreso dal documento congressuale, e da lì si deve quindi ripartire. Arriveremo così al Congresso Nazionale di Bologna con un quadro più chiaro di quello che sono e fanno i 17 Comitati Regionali nel nostro Paese e di cosa accade nei territori sprovvisti di un comitato regionale; e consapevoli che con una operatività a macchia di leopardo non è possibile risolvere l’annosa questione del rapporto tra nazionale e territorio. Sappiamo inoltre che la maggioranza dei Comitati regionali sono per lo più organizzati sulla base del volontariato dei propri dirigenti, con tutte le difficoltà che ne conseguono. Il tempo e le risorse dedicate all’analisi e alla riflessione in questi quattro anni devono quindi produrre a Bologna risposte concrete e presa in carico della riorganizzazione funzionale della rete dei comitati regionali e, contestualmente, avviare una attenta ricognizione dello stato di salute dei comitati territoriali. Questo è dare concretezza e senso al ‘prendersi cura del territorio’. Non vi è dubbio, infine, che queste proposte non possono essere relegate a mera materia ‘tecnica’: Tivoli ha ben focalizzato come le proposte di tipo organizzativo hanno bisogno di una solida e chiara cornice politica e, soprattutto, di una idea proiettata in avanti della ‘rete Arci’ per i prossimi anni. Una idea di tutela, certamente ma, soprattutto di sviluppo. Ne sentiamo il bisogno.

Imu e circoli, una questione di scelte
(Francesca Chiavacci – Presidente di Arci Firenze)

Imu e circoli, una questione di scelteLa questione dell’Imu è una questione di scelte. Il concetto di ‘modalità non commerciale’, oltre a mettere in discussione il percorso normativo storico che nel tempo ci ha definito, evidenzia quanto chi lo ha introdotto conosce poco il nostro mondo. Lo abbiamo sempre saputo, ma, oggi, è ancora più evidente. Continuiamo ad auspicare che la vicenda possa arrivare ad una soluzione positiva. Ma, se la speranza è l’ultima a morire, il senso di realtà ci dice che le probabilità sono molto poche. Prima gli stralci al dl Stabilità e il passaggio nel decreto Imu, poi la dichiarazione di inammissibilità al Senato sullo stesso decreto, ora un quarto tentativo con un emendamento alla Camera presentato da Paolo Beni. Su tutto, l’ombra della fiducia che il Governo proporrà sulla conversione del decreto Imu. La situazione, nel nostro mondo, desta molta rabbia e preoccupazione. Anche per un paradosso: il Parlamento con il più alto numero di rappresentanti proveniente dal terzo settore non riesce proprio a vedere e sentire un punto fondamentale per migliaia di esperienze associative e mutualistiche diffuse in tante parti d’Italia (non solo in Emilia e Toscana), che contribuiscono a tenere e a costruire coesione sociale e sviluppo culturale nei territori e nelle comunità. Con ciò, ovviamente, non vogliamo dire che nei due rami del Parlamento mancano interesse e riconoscimento della correttezza e della fondatezza delle nostre rivendicazioni. Siamo consapevoli dell’impegno del gruppo interparlamentare sul terzo settore, in particolare del nostro Presidente Paolo Beni e del sostegno di tanti altri parlamentari. Impegno ribadito, tra l’altro, alcuni giorni fa nel corso di un incontro a Firenze con deputati e senatori dell’area fiorentina di PD e SEL. Resta però che molto probabilmente prevarranno ancora una volta scelte che non riserveranno buone notizie per il nostro associazionismo. Dunque esiste un problema di mancanza di volontà politica e di presa in carico della vicenda da parte della maggioranza di governo e dei gruppi nelle commissioni. Esistono certamente le miopie di un approccio, dominante nel dibattito politico e ancora troppo schiacciato sulle logiche dell’austerity, che continua a sacrificare welfare e fasce sociali più deboli. Ma forse è il caso di considerare questo passaggio infelice e foriero di molte nuove difficoltà per i nostri circoli come un’occasione per tornare a interrogarci sulla necessità ed urgenza che le ragioni del nostro associazionismo, associazionismo di promozione sociale, trovino la forza per farsi sentire e vedere riconosciuta la propria dignità, al pari di altre esperienze del terzo settore e del no-profit. Spetterà a noi tornare a mobilitarci e, come ci chiedono tante compagne e tanti compagni nelle assemblee congressuali, essere capaci di far sapere chi siamo, di rendere visibile cosa oggi sono e rappresentano Circoli, Case del Popolo, Società di Mutuo Soccorso, il nuovo associazionismo che ha la fortuna di possedere i propri spazi. Dovremo essere in grado e impegnare le energie, sia attraverso la nostra capacità di interlocuzione politica, sia attraverso la promozione della nostra identità, sia attraverso la capacità di mobilitazione a livello locale, di trasmettere la ricchezza e la preziosità per la società italiana della nostra azione e del nostro impegno quotidiano diffuso nelle città come nelle più piccole frazioni. Una questione di scelte. Anche per noi.

Un’Alleanza contro la povertà
(Maurizio Mumolo – Presidenza nazionale Arci)

Un’Alleanza contro la povertàDa alcuni mesi un numeroso gruppo di organizzazioni del terzo settore sta so- stenendo una campagna di informazione perché anche il nostro paese si doti di misure stabili di contrasto alla povertà. L’Alleanza contro la povertà, alla quale aderisce anche l’Arci, chiede con forza al Governo e al Parlamento che la po- vertà venga riconosciuta come una vera emergenza nazionale, tra le più gravi che il nostro paese deve affrontare. Alcuni dati: nel 2012 il 7,9% della popolazione è in condizioni di povertà assoluta: si tratta di quasi 5 milioni di persone. Povertà assoluta significa disporre di un reddito inferiore a quello minimo di sopravvivenza materiale (la soglia è 506€ mensili). Chi vive in questa condizione non è in grado di far fronte a spese essenziali riguardanti l’alimentazione, la casa, i vestiti, i trasporti e quanto occorre per condurre un’esistenza appena di- gnitosa. Nella devastante congiuntura economica che stiamo attraversando è molto facile diventare poveri. In Italia vi sono oltre 9 milioni e mezzo di persone che vivono in povertà relativa, cioè che quel reddito minimo lo raggiungono a stento. Ebbene, a chi si trova in questa condizione basta poco per precipitare nell’assoluta indigenza: basta che l’unico percettore del reddito familiare perda il lavoro, o che qualche congiunto subisca una malattia invalidante, o che il titolare della pensione sociale venga meno. Tra tutti i paesi europei solo l’Italia (e la Grecia) non si è dotata di strumenti per contrastare questa gravissima emergenza sociale che colpisce tutti: al Sud come al Nord, famiglie e single, ma più duramente anziani e giovanissimi che vedono pregiudicata la loro vita futura. La povertà, oltre a produrre terribili effetti sulle persone e le famiglie, indebolisce la coesione sociale del paese e mette in discussione il patto di cittadinanza tra lo stato e il cittadino. Ma qualcosa si sta muovendo: proprio oggi sono state approvate alla Camera alcune mozioni firmate da deputati di diverse forze politiche che impegnano il governo ad adottare, da subito, una serie di provvedimenti che possano contrastare nel breve e nel lungo periodo il fenomeno della povertà. Una delle mozioni, sottoscritta anche dal presidente dell’Arci Paolo Beni, è piuttosto articolata e fa proprie le proposte dell’Alleanza contro la povertà. In particolare si propone di assicurare a tutti i cittadini che si trovano in questa condizione una prestazione monetaria accompagnata dall’erogazione dei servizi necessari ad acquisire competenze per un reinserimento nel mercato del lavoro e/o alleviare la propria condizione di disagio (servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale, per esigenze di cura e altro). Una gamma di servizi e attività che deve essere realizzata utilizzando la presenze e le competenze delle organizzazioni di terzo settore presenti sul territorio, associazionismo, volontariato e cooperative sociali, sostenendo maggiormente e valorizzando l’opera che svolgono da anni insieme agli enti locali. In ogni caso, i finanziamenti per le nuove misure non dovranno andare a detrimento dei magri fondi per la spesa sociale attualmente esistenti, ma dovranno favorire l’afflusso di ulteriori risorse anche di privati. Si tratta di un importante passo avanti, ma dovrà proseguire l’impegno di tutti affinché si giunga al più presto ad iniziative concrete.

L’ultimo treno per il cambiamento

L’ultimo treno per il cambiamentoSi sa, promesse e buoni propositi si sprecano ad ogni inizio d’anno, e questo vale anche per la politica italiana di fronte a un 2014 zeppo di incognite come non mai. D’altra parte, che la crisi della politica e delle istituzioni sia giunta al punto limite era apparso evidente nelle ultime settimane del 2013, dalle tensioni che hanno accompagnato la legge di stabilità fino alla grottesca vicenda del decreto ‘salva Roma’ trasformato in una legge mancia sotto mentite spoglie, con conseguente retromarcia della maggioranza e figuraccia collettiva di Governo e Parlamento. Una situazione allarmante che ha indotto il Capo dello Stato a sottolineare con forza, nel suo messaggio di fine anno, la necessità di ricostruire il rapporto ormai seriamente compromesso fra le dinamiche sociali e l’agire politico. È significativo il cambio di stile che Napolitano ha impresso a quel discorso, rinunciando ai consunti rituali del linguaggio politichese per dare voce ai cittadini di un’Italia stanca e impoverita, rappresentare il malessere di una società orfana della politica e distante dalle istituzioni, denunciare il disagio di un paese alla deriva, senza quel vincolo di valori e principi comuni che è indispensabile per cementare una comunità civile capace di darsi orizzonti condivisi. Sull’Italia incombe una pericolosa miscela esplosiva di sofferenza sociale e delegittimazione della democrazia. Dalla profondità di questa crisi che ha ormai toccato i fondamenti del vivere civile si può uscire con la ricostruzione ma anche con la rottura definitiva del tessuto connettivo del paese, con l’imbarbarimento delle relazioni sociali. Rischio che si potrà scongiurare solo se governo e parlamento saranno capaci di adottare rapidamente le riforme necessarie ad evitare il collasso della società e della democrazia italiana. Il 2014 sarà decisivo da questo punto di vista. Certo, non aiutano gli attuali equilibri politici precari e contraddittori, né le spinte dell’opposizione antisistema costruitasi sull’asse Berlusconi – Grillo che mira deliberatamente allo sfascio, nè le tentazioni di affidarsi all’illusorio potere risolutivo di un immediato ritorno alle urne. Perchè tornare al voto senza una seria legge elettorale scelta dal Parlamento e senza aver fatto le riforme necessarie a superare il bicameralismo sarebbe il più clamoroso fallimento della politica; perché non ha proprio senso rimandare a dopo provvedimenti che si possono fare oggi e che sarebbero decisivi per alleviare le condizioni di vita delle persone, per il contrasto alla povertà, il lavoro, la redistribuzione delle risorse, l’equità sociale. Il 2014 ha in agenda anche altri passaggi su cui la politica italiana farebbe bene a concentrare la sua attenzione. Il semestre di presidenza di turno dell’UE è una straordinaria occasione per tentare di correggere la direzione delle strategie economiche europee. Ormai è chiaro a tutti che da questa crisi non si esce se non si capisce che le ricette nazionali da sole non bastano e che l’epicentro del conflitto sta proprio a Bruxelles. È lì che deve avvenire l’inversione di rotta rispetto alle politiche iperliberiste che hanno prodotto l’attuale drammatica emergenza economica e sociale. Infine, c’è l’urgenza di adeguare l’Italia al livello degli altri paesi europei in materia di diritti. Non c’è ragione alcuna, se non gli eterni veti di un conservatorismo ormai sconfessato anche dalla Chiesa di Papa Francesco, per rimandare scelte oggi possibili, da una buona legge sulle unioni civili allo ius soli, a una soluzione decente al problema delle condizioni incivili delle nostre carceri, al rafforzamento delle norme contro la corruzione. Il cambiamento è necessario, perché il paese non reggerebbe un altro anno senza le necessarie riforme sociali e istituzionali. Se la sinistra avrà il coraggio di affrontare questi nodi potrà contribuire a ricostruire il rapporto fra cittadini e istituzioni; se invece resterà ostaggio di interessi particolari e di ambizioni personali, avrà perso anche l’ultimo treno per ricostruire la necessaria connessione fra soggetti sociali, diritti e rappresentanza. La prima cosa da fare è prendere atto che siamo un paese malato, che la degenerazione della classe dirigente, lo scadere sul piano dell’insulto del lessico e della dialettica politica a tutti i livelli sono sintomi di una malattia che può diventare mortale se non entrano in azione gli anticorpi di quei valori etici che costituiscono la religione civile di una comunità sociale. Quelli che ispirarono i padri costituenti e che ancora oggi dovrebbero essere alla base del nostro vivere comune. Quelli che si coltivano e rafforzano nella pratica della mobilitazione sociale e dell’attivismo civico. Quelli che sono a fondamento anche della nostra idea associativa.

Adesso risposte concrete per ristabilire legalità e civiltà
(Filippo Miraglia – responsabile Immigrazione Arci)

Adesso risposte concrete per ristabilire legalità  e civiltàNessuno adesso può dire «Io non sapevo». Tanto meno il governo e chi ha responsabilità dirette, nella pubblica amministrazione, sulla gestione dei centri, come quello di Lampedusa. Nessuno può pensare di cavarsela con una operazione di facciata. ‘Umanizzare’ i grandi centri è impossibile. L’unica cosa da fare è chiuderli subito tutti, come chiediamo da tempo. Tuttavia questo è un Paese dove si dimentica in fretta e qualsiasi orrore viene metabolizzato, soprattutto se riguarda i diritti delle persone, in particolare di quelle che potenti non sono affatto, come i migranti. Per questo pensiamo che l’onorevole Khalid Chaouky, al quale va la nostra solidarietà e il nostro sostegno, ha fatto bene a scegliere un gesto estremo, come la permanenza nel centro di Lampedusa, per evitare che tutto annegasse nelle chiacchiere vane di chi finora ha finto di non vedere, avallando di fatto discriminazioni e ingiustizie. Abbiamo sentito nei mesi scorsi, e ancora in questi giorni, parole irricevibili da parte di chi ha responsabilità pubbliche. Soprattutto se pronunciate in risposta alla richiesta di protezione di coloro che sono arrivati in Italia quest’anno in fuga da guerre e persecuzioni. Qualche ora prima della tragedia dello scorso 3 ottobre, l’Arci, in delegazione a Lampedusa, aveva chiesto, insieme alla sindaca Giusi Nicolini, di entrare in quel centro, ottenendo per l’ennesima volta una risposta negativa dal Ministero dell’Interno. Il perché è facile da immaginare. Una presenza indipendente e competente come la nostra può dare molto fastidio, e quindi meglio evitare. Eppure in questi anni più volte, mentre continuavamo a chiedere la chiusura definitiva dei grandi centri, dei campi di detenzione e contenimento per migranti, abbiamo proposto, inascoltati, che le organizzazioni indipendenti di tutela dei diritti dei migranti fossero – come del resto prevede la legge – autorizzate stabilmente ad entrare. La loro presenza avrebbe certamente costretto, sia gli organi di polizia che gli enti gestori, a una maggiore attenzione al rispetto dei diritti delle persone detenute, evitando quei trattamenti disumani e degradanti che sono invece oramai la normalità in questi luoghi. Dopo la strage del 3 ottobre, i profughi sopravvissuti, insieme agli altri migranti presenti sull’isola, sono stati ammassati in quel luogo terribile, costretti a dormire su materassini luridi, posti all’aperto e per terra. Le condizioni indecenti del centro hanno prodotto una situazione igienico sanitaria grave ed inaccettabile. Tutto questo è avvenuto nonostante le parole di denuncia di tanti, a partire dalla sindaca, sotto gli occhi di chi doveva intervenire e ha deciso di voltarsi dall’altra parte. Queste sarebbero ragioni sufficienti, in qualsiasi paese civile, per chiedere le dimissioni del ministro competente. Non in Italia. Ma c’è di più. Sono mesi che denunciamo l’intollerabile gestione degli arrivi di migliaia di persone alle quali l’Italia dovrebbe riservare un trattamento speciale, una accoglienza decente e generosa. Così non avviene. A Siracusa nell’ex ospedale Umberto I, a Priolo in un grande centro collettivo per minori non accompagnati, in una palestra a Catania, in un palazzetto dello sport a Messina, nel CARA di Mineo, in quello di Caltanissetta, a Trapani nel CIE come nel CARA. Dall’inizio dell’estate abbiamo segnalato l’illegalità dell’azione del governo e la palese violazione della nostra legislazione e di quella europea. Allo stesso tempo abbiamo denunciato quanto fosse grave la condizione nei CIE, che progressivamente stanno chiudendo (ne sono rimasti aperti 6 su 13) nonostante l’ideologia persecutoria che ha prevalso in questi anni, e in cui si registrano rivolte continue da parte di persone che giustamente si ribellano alle insopportabili condizioni di vita e ai maltrattamenti che subiscono quotidianamente. Siamo stati protagonisti di denunce e proteste contro politiche d’accoglienza che hanno prodotto marginalità sociale, razzismo e spreco di risorse pubbliche. Ancora una volta ci chiediamo per quanto tempo il furore ideologico da una parte e l’assenza di visione e di coraggio dall’altra, insieme ad una diffusa mancanza di senso dello stato, caratterizzeranno le scelte nel campo dell’immigrazione. Ci chiediamo a quanti morti da frontiera, a quanti suicidi, a quante rivolte dovremo ancora assistere prima che governo e parlamento decidano finalmente di intervenire per ripristinare la legalità e la civiltà in questo Paese. Noi non siamo disposti ad aspettare oltre. E le tante azioni che convergono nel chiedere un cambiamento reale hanno oramai il senso di una rivolta civile che ha bisogno di risposte concrete. Adesso.

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