E’ indubbio che le innumerevoli polemiche che hanno accolto EXPO 2015 sin dalla nascita, e poi le critiche pesanti e le fortissime contrarietà alla sua realizzazione abbiano solide ragioni e si reggano su valutazioni che è veramente difficile non condividere.
Dalla sua collocazione (100 ettari di terreni in gran parte agricoli di pregio e in aree parco – anziché in un’area fieristica già esistente -, in gran parte di proprietà privata) alle grandi opere previste, che di fatto cementificheranno ulteriormente in modo pesantissimo un territorio già martoriato, dall’ingente consumo di suolo che l’esposizione realizzerà anche in virtù della già prevista urbanizzazione sia dell’area che del territorio limitrofo sino alle modalità antidemocratiche – senza il coinvolgimento dei territori e dei cittadini – con cui sono state assunte le decisioni.
E’ poi evidente l’obiettivo politico dell’Esposizione di rilanciare e rafforzare un modello agroalimentare di tipo intensivo e ‘industriale’ – peraltro estraneo alle tradizioni agricole italiane – saldamente in mano alla finanza e all’industria chimica, e che apra definitivamente l’Europa alle agrobiotecnologie e agli OGM.
Esattamente quel modello agroalimentare causa prima della distruzione della biodiversità, della progressiva accelerazione delle modificazioni climatiche, della progressiva distruzione delle risorse naturali a partire dal suolo/acqua/aria, del tutto indifferente al miliardo di persone che continuano a non avere accesso al cibo e all’acqua potabile, e il cui unico obiettivo è il profitto a tutti i costi.
E si potrebbe continuare, senza trascurare le ingenti risorse pubbliche necessarie – stimate in circa 10 mld € e i cui beneficiari principali saranno i privati – in un tempo in cui viene imposto al paese il taglio persino di servizi essenziali quali sanità, assistenza sociale, istruzione, un welfare degno di questo nome.
Verrebbe cioè da dire che non ce lo possiamo permettere un simile EXPO, che ci sarebbero molte altre priorità, dato anche che questi servizi essenziali rappresentano in realtà una parte fondamentale dei diritti di cittadinanza in una democrazia moderna.
E tuttavia crediamo vi siano almeno tre buone ragioni per cui una organizzazione come l’ARCI debba comunque partecipare ad EXPO:
A prescindere dal fatto che le previsioni degli organizzatori si realizzino o meno (20 milioni di visitatori) crediamo non si possa rinunciare a priori a proporre pubblicamente le nostre idee e la nostra visione a tutti coloro – singoli, istituzioni, organizzazioni, ecc. – che saranno presenti o visiteranno l’EXPO; idee, visione e proposte che sono poi gli elementi costitutivi della nostra identità, e che dovremo provare a diffondere da questa straordinaria finestra aperta sul mondo che per quei sei mesi sarà a sua volta sotto gli occhi del mondo.
2.) La seconda riguarda il merito. Dobbiamo esserci per poter affermare con forza:
- che non è vero che dobbiamo organizzarci per difenderci dai cambiamenti climatici, inevitabili perché il progresso non si può fermare.
- Che non è vero che dobbiamo produrre di più per poter alimentare tutti gli abitanti della terra, e che per fare ciò è indispensabile introdurre su larga scala le coltivazioni OGM.
- Che non è vero che per uscire dalla crisi è necessario annullare o diminuire radicalmente la presenza dello stato, non solo nell’economia ma anche nei servizi pubblici essenziali, e privatizzare tutto a partire dai beni comuni (perché così il mercato, naturalmente, tutto razionalizzerà).
- Che non è vero che per risolvere i problemi del pianeta sono necessarie ancora rinunce e sacrifici, compresa una riduzione degli spazi democratici, anch’essi eccessivamente costosi e che quindi non possiamo permetterci.
Dobbiamo esserci per affermare con forza che c’è una alternativa a tutto ciò:
- Che richiede la globalizzazione dei diritti e la loro estensione a chi oggi ne è privo, che presuppone l’allargamento delle pratiche democratiche e la partecipazione diffusa di tutti i popoli alle scelte e decisioni che li riguardano.
- Che dalle crisi cioè si può uscire se i problemi si affrontano con la diffusione e l’allargamento della democrazia e non con la sua limitazione.
Peraltro che la democrazia sia precondizione per lo sviluppo (inteso come miglioramento universale delle condizioni di vita e di benessere, non certo in termini di PIL) non è un principio della sinistra radicale e rivoluzionaria, ma un principio liberale ancora di recente riproposto dal nobel Amartya Sen (Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, 2000).
- Dobbiamo esserci perché, contrariamente a quel che ci viene proposto, “Nutrire il pianeta” non è affatto un obiettivo il cui raggiungimento sia subordinato ad una maggiore disponibilità di cibo.
- Dobbiamo esserci per denunciare che il tema di EXPO 2015 “Nutrire il pianeta” si ripropone nell’anno in cui uno dei Millennium goals, quello del dimezzamento del numero degli affamati nel mondo stabilito nel vertice mondiale sull’alimentazione del 1996, avrebbe dovuto essere raggiunto. E invece quell’obiettivo è rimasto sostanzialmente sulla carta, dato che con l’attuale ritmo potrebbe essere attuato solo nel 2115, ben un secolo dopo.
Il che significa che la scomparsa della fame nel mondo si potrebbe ipotizzare tra 2 secoli!!
In un mondo in cui, già oggi, si producono derrate alimentari sufficienti a sfamare il doppio della popolazione della terra (fonte FAO), se tutto il cibo prodotto fosse ripartito equamente tra gli abitanti del pianeta, la produzione mondiale alimentare basterebbe a fornire ad ogni essere umano 2.800 calorie al giorno. Invece conviviamo con il dramma di una persona che muore di fame o per le sue conseguenze ogni 17 secondi.
Per cui oggi vi sono popoli interi che hanno fame, mentre altri – UE, USA, Canada, ecc. – hanno il problema degli stock alimentari invenduti. Ecco perché oggi nel mondo si muore di fame, ma anche, al contrario, per le conseguenze dell’obesità.
C’è cibo a sufficienza per tutti, ma alcuni non possono produrlo (ad es. campesinos colombiani e boliviani costretti a produrre foglie di coca per i narcotrafficanti), altri pur producendolo non sono in grado di acquistarlo, mentre altri ancora ne hanno troppo.
A ciò si aggiungono gli effetti dei modelli agroalimentari dominanti, incentrati sulle esigenze alimentari del “ciclo bovino” e del modello “esportatore”, oltre che dei biocarburanti. In questo senso il caso del Brasile è stato, ma in larga parte lo è tuttora, esemplare: uno dei più grandi esportatori mondiali di prodotti agroalimentari, dove però il presidente Lula è stato costretto a fare della lotta alla fame del suo popolo il principale impegno programmatico.
Modelli agroalimentari che provengono dalla cosiddetta “Rivoluzione Verde” lanciata dagli Stati Uniti sin dalla fine degli anni ’70, e che attraverso le multinazionali agro-chimiche ha imposto un processo produttivo su poche specie vegetali e gli OGM, selezionate per la massima tolleranza chimica, e le già citate esigenze alimentari del “ciclo bovino”.
E’ quindi evidente che occorre intervenire sul questi modelli, che strutturalmente causano disuguaglianze e negazione di diritti, in primo luogo quello dell’accesso al cibo.
Esattamente quel diritto che il principio della SOVRANITA’ ALIMENTARE enuncia come: “Il diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi a definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra, e le proprie strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo di alimenti che garantiscano a loro volta il diritto all’alimentazione sana e nutriente per tutta la popolazione, rispettando le singole culture e la diversità dei metodi colturali, e garantendo a ogni comunità l’accesso e il controllo delle risorse di base per la produzione, come la terra, l’acqua, il patrimonio genetico e il credito”.
Crediamo che l’Arci non debba far altro che riconfermare la sua totale condivisione di tale principio, a cui ancorare fortemente le proprie scelte e le proprie politiche. Anche attraverso l’assunzione della Dichiarazione di Nyeleni del 2007, successivamente confermata da quella di Nyeleni Europa del 2011.EXPO 2015 dovrebbe essere vissuta dall’Arci come una straordinaria occasione per poter promuovere e rilanciare il dibattito pubblico sul diritto al cibo e sulle azioni a sostegno della realizzazione globale della Sovranità Alimentare. Sostenendo quindi i modelli agroalimentari imperniati su sistemi produttivi di piccola scala, l’agricoltura familiare, rispettosi degli equilibri sociali delle comunità locali e di quelli naturali ed agroecologici, in grado di tutelare in modo dinamico la biodiversità, rispettosi del lavoro, liberi di utilizzare i loro semi, in sintonia con le diverse culture alimentari, contrastando in tutti i modi possibili qualsiasi tentativo di Land Grabbing e di ulteriore cementificazione di suolo agricolo, capaci di “passare leggeri” sulla terra dei loro, e nostri, figli.
3) La terza, infine, è consequenziale alle altre due.Dobbiamo esserci semplicemente per mettere in discussione l’EXPO.
Nel senso che i temi come quelli posti alle varie esposizioni universali non si affrontano certamente con eventi più o meno spettacolari e sempre costosissimi, ma con gli strumenti che sono stati citati prima: processi democratici diffusi, inclusione e partecipazione universale, pace, eliminazione delle diseguaglianze, assunzione delle responsabilità collettive verso il pianeta, rigoroso rispetto dei diritti umani e di quelli civili, ecc.
Comunque sia, anche quando fosse ritenuto utile costruire eventi finalizzati alla sensibilizzazione e diffusione degli strumenti di cui sopra – e le risorse fossero disponibili, non si ferisse ulteriormente il territorio, vi fosse l’assoluta impossibilità di ogni forma di spreco e di corruttela – non si può accettare un EXPO realizzato con le caratteristiche di Milano 2015, insostenibile sotto tutti i profili, da quello ambientale a quello economico a quello sociale.
Tanto più senza il coinvolgimento delle comunità che su quel territorio insistono.
Nel Manifesto di Expo dei Popoli assieme a tante altre organizzazioni abbiamo scritto che vorremmo che l’Expo di Milano fosse ricordato come un punto di svolta nell’impegno globale per garantire condizioni di produzione di cibo ed energia che siano nel contempo più efficienti e più giuste: tutto ciò sarà possibile solo con un forte sforzo congiunto delle istituzioni, della società civile e dei “produttori e produttrici”, che porti la politica a stabilire regole condivise e lungimiranti.
Nutrire il pianeta ed energie per la vita è anche ragionare di energia, beni comuni, acqua.
Dobbiamo parlare di diritto all’acqua potabile e di acqua per l’agricoltura familiare. Dobbiamo parlare di diritto alla terra e all’autodeterminazione a coltivarla.
Infine, ma non ultimo, l’eredita di Expo a partire dalla destinazione dei terreni su cui sorge Expo.
Crediamo intanto che quei terreni debbano essere sottratti alla speculazione edilizia e alle mire della criminalità organizzata, e che diventino il simbolo dell’impegno di cittadini e istituzioni per la lotta alle ingiustizie, alla povertà, per la tutela dei Beni Comuni.”
Roma, Marzo 2015
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