Un Ministro del PDS li ha inventati (Napolitano) ed un Ministro del PD li rilancia (Minniti), dopo quasi 20 anni di fallimenti e ingiustizie.
I CIE (Centri di identificazione ed Espulsione), già CPT, in questi anni sono stati il simbolo di una politica proibizionista che, dichiarando di voler promuovere un giusto equilibrio tra diritti e doveri, tra solidarietà e sicurezza, ha alimentato il razzismo e costruito separazione e discriminazione.
Oggi, in una fase di crisi dell’UE e di crescita dei movimenti xenofobi e di estrema destra, riproporre uno schema che ha già dimostrato di essere inutile e dannoso, è davvero inspiegabile, se non per ragioni di mera propaganda.
Come dicevamo nel 1998, anche oggi ribadiamo che i Centri di detenzione per stranieri vanno chiusi tutti subito. Lo stesso Ministero dell’Interno, avendo capito che i CIE non servono all’obiettivo dichiarato, li stava in questi anni progressivamente smantellando.
E infatti di tredici centri ne sono rimasti quattro.
Rilanciarne adesso il ruolo legandolo al tema della sicurezza, al tempo del terrorismo e dell’ISIS è, oltre che fuorviante e sbagliato, un disastro sul piano culturale e politico. Per chi commette reati o è socialmente pericoloso c’è il sistema giudiziario. La riapertura dei centri di detenzione (uno per Regione), è solo uno spreco di risorse pubbliche, genera insicurezza e sottrae forze dell’ordine al controllo del territorio. Mentre la dinamica dei flussi migratori si evolve in maniera complessa e tumultuosa, frutto soprattutto di guerre, conflitti interni, disastri ambientali, persecuzioni e violenze, con il loro carico di morti e tragedie, tentare di ridar vita a vecchi strumenti e vecchi schemi favorisce solo la cultura dell’intolleranza e dell’odio. I dati dimostrano che il numero di persone espulse dipende quasi esclusivamente dagli accordi con i paesi d’origine e da come sono utilizzati. Se si vogliono sottoscrivere accordi con i principali paesi di provenienza dei flussi straordinari, si finisce inevitabilmente per sostenere Paesi dilaniati da conflitti, per lo più retti da governi dittatoriali.
Ancora più inutile, per chi ha scontato una condanna, prevedere una doppia pena: carcere più CIE per l’espulsione. Se non si riesce a pianificarla negli anni del carcere, come aveva suggerito la Commissione De Mistura, non si capisce perché diventerebbe possibile con una detenzione aggiuntiva. La nostra idea non è quella – impraticabile nella società in cui viviamo – di abbattere le frontiere e negare gli stati nazione. Noi chiediamo che sia consentito alle persone di muoversi liberamente e, per chi non rispetta la legislazione sull’immigrazione, rendere conveniente e possibile il ritorno volontario, cancellando il divieto di reingresso. Ma prima bisognerebbe riformare profondamente l’attuale legislazione sull’immigrazione, cancellare la Bossi Fini e la stagione del proibizionismo, aprire canali d’ingresso legali per lavoro e richiesta d’asilo e riformare la legge sulla cittadinanza. Non si affronta un tema così complesso cominciando dalla coda, da come si punisce chi non rispetta la legge. Una legge che è scritta in modo da non essere rispettata.
ArciReport, 12 gennaio 2017
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