Uno specchio del degrado delle relazioni sociali e del clima culturale del paese ce lo offrono anche le polemiche sui negozi aperti il 25 aprile e il 1 maggio: gli esercizi commerciali che insistono per l’apertura festiva costringendo commessi e dipendenti a rinunciare alla giornata di riposo, i lavoratori che protestano e minacciano scioperi, i Comuni che assumono posizioni differenti, grazie anche alla deregolamentazione introdotta col ddl sulle liberalizzazioni. Non c’è proprio freno allo strapotere del mercato e allo sfruttamento del lavoro in nome del profitto. Oltretutto non è certo con l’apertura ad oltranza degli esercizi commerciali che si favorisce la ripresa, tutt’al più si spostano da un giorno all’altro gli scarsi consumi falcidiati dalla crisi. Ma questa disputa fa emergere anche alcuni seri problemi culturali. Anzitutto la conferma di quanto la corsa al consumismo, coi pomeriggi passati nei centri commerciali per riempire il vuoto dei giorni di festa, sia diventata un surrogato delle relazioni umane e sociali. E poi la perdita della memoria da parte di una società immersa in un eterno presente, incapace di coltivare la sua storia e di farne buon uso per il futuro. C’è chi pensa che le feste del 25 aprile e del 1 maggio siano retaggio di un passato da archiviare. Per noi invece hanno un grande valore morale ed educativo. Oggi gran parte degli italiani non ha più ricordi diretti della lotta di popolo che liberò il paese dal nazifascismo e ne ha letto a malapena sui libri di scuola. Coltivarne la memoria, capire le ragioni che animarono la resistenza, è importante non solo per tutelare la verità della storia contro l’inaccettabile revisionismo di chi vorrebbe confondere oppressi e oppressori, ma anche per ritrovare le ragioni del nostro impegno oggi……Leggi tutto
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